La crisi climatica e il virus: un dialogo interrotto

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Da anni si parla, si scrive, si commenta della crisi climatica – e l’articolo fa parte di questo brusio in fondo – tuttavia, la questione e’ ormai impellente e se qualche tempo fa si parlava di come non raggiungere il punto di non ritorno, oggi quel punto e’ superato. 

Eppure, molti, soprattutto giovanissimi, ancora gridano da tutto il mondo “aiuto”, “attenzione”, e chiedono fatti, non parole. Oltre alla paladina Greta Thunberg dalla Svezia, ci sono Alice Imbastari e Miriam Martinelli dall’Italia, Xiye Bastida dagli Stati Uniti, Leah Namugerwa dall’Uganda, Ralyn Satidanasarn dalla Thailandia, Adriana Salazar dalla Bolivia, Nikhil Kalmegh dall’India, Ruby Sampson e Ayakha Melithafa dal Sudafrica, Luisa Neubauer dalla Germania, Lilly Patt dall’Olanda e tanti altri. Sempre piu’ giovani chiedono sicurezza sul fronte delle azioni per il clima e nonostante molti li considerino in fondo inconsapevoli del problema e di come risolverlo, i giovani persistono; e in realta’, hanno ragione. 

Il riscaldamento globale e’ dovuto all’aumento delle emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto, gas fluorurati), che, trattenuti dall’atmosfera, concorrono all’aumento della temperatura. Le cause dell’incremento delle emissioni sono la combustione di carbone, petrolio e gas, l’abbattimento delle foreste, l’allevamento intensivo di bestiame e i fertilizzanti azotati.

Per combattere i suoi effetti nel quotidiano, e’ sufficiente cambiare abitudini, provare attivita’ diverse: piantare alberi, utilizzare mezzi di trasporto sostenibili, ridurre gli sprechi di acqua, scegliere prodotti ecologici per la casa, ridurre il consumo di carne. Migliorare e’ possibile, c’e’ solo bisogno di attenzione, solidarieta’, costanza.  

Il COVID-19 e’ una delle conseguenze della crisi climatica. 

A livello scientifico, e’ evidente che cambiando le temperature del pianeta, gli animali migrano, si mobilitano verso dei luoghi piu’ adatti al loro organismo – hanno una resilienza piu’ precaria della nostra -, ma con loro portano batteri e virus provenienti da altri habitat, sia esterni sia interni. Con i loro organismi portano altre forme di vita, a cui noi esseri umani non siamo – a volte mai – stati esposti, e dunque non abbiamo gli anticorpi per combatterli. Di conseguenza,  ingerire specie esotiche puo’ diventare pericoloso, cosi’ come avere anche solo un contatto diretto. 

Ma questo articolo non e’ prettamente scientifico e non vuole affrontare gli aspetti piu’ tecnici dell’origine di questa pandemia; si vuole piuttosto indagarne gli aspetti morali, etici, simbolici. 

La pandemia si pensa sia iniziata in un mercato in cui si contrabbandano animali esotici per poterli vendere: e’ un virus che viene dalla natura – come noi d’altra parte – ma da una natura violata, violentata. 

Nella storia spesso abbiamo usato la natura come argomento, l’abbiamo letta da diversi punti di vista, criticata, divinizzata, seviziata, abbandonata. 

Virgilio nelle sue Bucoliche narra di una natura come locus amoenus, luogo sereno dove trovare la pace e descrive un rapporto armonioso con l’uomo. Sappiamo che se inizialmente Leopardi aveva una concezione di natura volta al bene, a un’idea del tutto opposta, che la descrive come mater destruens. In molti, in seguito e nello stesso periodo del poeta di Recanati espressero una visione della natura minacciosa, opprimente, anche attraverso l’arte: 1812 Turner con la “Bufera di neve” rompe le convenzioni e per la prima volta disegna l’uomo piccolo, insignificante accanto alla natura e anticipa gli impressionisti per il fatto che essa renda tutto instabile e transitorio – restituito attraverso la polverizzazione dell’immagine -, compreso il destino dell’uomo. Nel 1818 “Viandante su mare di nebbia” gonfia il petto ai romantici: la riflessione su di se’, la spiritualita’, il concetto di popolo e di nazione sono tutti i temi principali del periodo storico, e anche in questo caso Friedrich dipinge una natura misteriosa, senza fine, mentre l’uomo se ne fa orgoglioso esploratore. Piu’ tardi, con l’avvento del Crystal Palace, la Torre Eiffel precedono impressionisti e neoimpressionisti. Tra questi Cezanne riduce la natura a forme geometriche, e con lui Gauguin usa il colore in modo del tutto innaturale, anzi, antinaturale. Il processo di industrializzazione viene disegnato dalle Secessioni e dall’Art Nouveau, e man mano fino al Futurismo, la natura verra’ sempre di piu’ emarginata, sostituita dall’impeto umano, dal suo desiderio megalomane di conquista e controllo.  

Oggi, oltre all’arte e alla poesia, il cinema rivendica la posizione della natura, e anche a causa del cambiamento climatico, il tema si e’ fatto piu’ sensibile. Non solo in film tratti da romanzi, quali “Il Signore degli Anelli” in cui gli alberi parlanti disprezzano gli orchi che li abbattono e li bruciano, ma anche dal lontano Oriente – in cui la cultura e la mentalita’ buddhista potrebbero aver avuto delle influenze riguardo alla necessita’ di proteggere e rispettare la natura. 

In un’intervista condotta da Takuma Shoten e lo Studio Ghibli nel luglio 1997, riguardo al suo ultimo film uscito le stesso anno “Principessa Mononoke”, Hayao Miyazaki risponde:

Nel passato, gli umani esitavano quando dovevano uccidere, anche i non-umani. Ma la societa’ e’ cambiata, e non ci sentiamo piu’ in questo modo. Mentre gli umani crescono sempre piu’ forti, siamo diventati piuttosto arroganti, abbiamo perso il senso del “non abbiamo piu’ scelta”. Credo che nell’essenza della civilizzazione umana c’e’ il fatto che abbiamo il solo scopo di diventare ricchi senza limiti, arrivando a uccidere gli altri esseri viventi se necessario. […] 

Il mondo non e’ solo per gli umani, ma per tutti gli esseri viventi, e gli umani hanno la possibilita’ di vivere solo in una parte del mondo. 

Non e’ giusto pensare di coesistere con la natura se viviamo umilmente, e sentirci in diritto di distruggerla quando diventiamo avidi. […]

Credo che finche’ non ci metteremo nella posizione di non sapere piu’ cosa fare, non riusciremo mai a pensare seriamente ai problemi riguardanti il clima e la natura. 

Il COVID-19 proviene dalla natura, la stessa da cui veniamo anche noi e che abbiamo depredato e maltrattato per anni, e che continuiamo a ignorare. La riflessione che puo’ essere fatta su questo tema e’ che il virus sia un grido di aiuto, un sintomo della Terra stessa, che manifesta il suo malessere. Come noi, anch’essa ha i suoi anticorpi – tra i quali il virus  forse – contro dei batteri che la stanno divorando, che sfruttano le sue risorse, che sterminano altri esseri viventi pur di conquistare tutto. Ma una volta raggiunta la ricchezza piu’ sfrenata, la fama e la gloria piu’ assoluta, la proprieta’ degli spazi piu’ sterminati, cosa resta? 

Il desiderio vorace dell’uomo di fagocitare il piu’ possibile si completa con la lamentela, la delusione di non avere cio’ che ci si aspetta. Ma in tutto questo, non si pensa a cio’ che si ha gia’, non si pensa a curare, proteggere cio’ che ci e’ gia’ dato, perche’ senza nemmeno guardarlo si e’ convinti che non sia abbastanza. Ma abbastanza per cosa? In fondo, il bisogno di tanti vizi, la rincorsa al successo e al denaro ha eliminato il senso di se’, l’umilta’ di vedere in cio’ che ci e’ gia’ dato il nuovo, il prezioso, il sicuro. Indipendentemente da chi crediamo ci abbia dato cio’ che abbiamo o da quale combinazione casuale sia arrivato, potrebbe essere la via per destarsi, avere piu’ attenzione per cio’ che ci accoglie. 

La crisi climatica e’ causata anche dall’aver dato per scontato cio’ che abbiamo sempre avuto senza averlo chiesto: prima della crisi non avremmo messo in dubbio l’esistenza dei ghiacciai, delle spiagge, delle foreste, di alcune specie animali; tuttavia, cio’ di cui non ci si prende cura, non dura. E lo sappiamo, avviene anche nelle relazioni, con gli oggetti, con le persone, con le memorie. Allora perche’ non dare questa attenzione a cio’ che ci protegge da sempre?

Il virus insegna a cambiare prospettiva, a prendere seriamente in considerazione la possibilita’ di un cambiamento drastico nel paesaggio, nelle risorse; un cambiamento che potrebbe non essere a nostro favore o che potremmo non essere in grado di sopportare da subito. Non c’e’ nulla di spaventoso nel cambiamento, si aprono molte porte nonostante se ne chiudano altre, ed essendo esseri assai resilienti, potremmo essere in grado di trovare una soluzione alternativa: ad esempio, vivere su Marte. 

Per chi vive oggi, potrebbe risultare assurdo pensare ad un cambiamento da film fantascientifico, e infatti piuttosto preferiamo pensare a come cambiare cio’ che e’ fuori di noi. Un vecchio detto dice “sai quello che lasci ma non sai quello che trovi”: il punto e’ che non si trova niente, ma si puo’ costruire sempre qualcosa. 

Dunque forse, questo e’ un po’ un articolo di addio?Forse in parte e non senza tristezza, ma con la consapevolezza che se il punto di non ritorno e’ gia’ stato superato, forse la visione di Elon Musk potrebbe non essere cosi’ astratta. Tuttavia, questo non giustifica a non agire, ad aspettare che le cose accadano passivamente: il nostro e’ un pianeta unico, ricco e – in un certo senso – fatto su misura anche per noi esseri umani. 

Bisogna agire con piccoli gesti, con tanta attenzione, con speranza e prospettiva verso il futuro: come ciascuno di noi e’ unico nel suo divenire, cosi’ lo e’ la Terra. Abbandonare il pianeta natio non servira’ a risolvere nulla, il problema non va evitato, va affrontato. E il problema non e’ il pianeta – perche’ chissa’ se su Marte non faremmo lo stesso – e’ il modo di interagire con esso che non funziona piu’. 

Cambiare come comportarsi, come pensare il mondo e la vita su di esso: li’ e’ sempre possibile trovare la soluzione, perche’ c’e’. 

E’ dentro di noi.  

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